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al testo di Antonio Terracciano
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(Non amo né Maometto né quegli altri che di parlar sostennero col Dio: furono certamente molto scaltri, non proprio quelli che più stimo io;
però talvolta dissero, costoro, cose che stanno bene in cielo e in terra, fecero veramente un buon lavoro contro certuni, lor muovendo guerra. )
Penso che non sbagliasse il buon Maometto, in una sura di quel suo Corano, a condannare in modo alquanto netto i poeti di un mondo sì lontano,
perché di giovanotti sfaccendati si trattava, ben pronti a decantare, con lo scopo di esser ricambiati, muliebri prede di cui approfittare;
e bevevano spesso, s'ubriacavano, dilapidando i loro capitali, e nelle varie "shi'r" sempre esaltavano un mondo senza validi ideali.
Ed attraverso elaborate forme quei poeti miravano soltanto dal petto a fare emergere un abnorme di sensazioni ammasso e darsi vanto.
L'Islam nascente s'era ormai orientato invece verso cose più concrete, quelle che poi l'avrebbero portato nelle scienze a raggiunger tante mete.
Allah era lassù: non potevamo noi miseri mortali figurarlo, e con parole poi non dovevamo ambire scioccamente ad uguagliarlo!
E la poesia, se esistere voleva, seguir doveva schema ben preciso, simile a matematica, che aveva un rispetto da tutti condiviso.
(Se dei secoli dopo fosse nato, il capo dell'Islam avrebbe avuto certo stima di Dante, dell'innato suo aritmetico stile risoluto. ) |
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